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Italia

Daniele Luchetti • Regista di Confidenza

“Credo alla mostruosità delle persone, soprattutto alla possibilità che hanno le persone di farsi del male da sole”

di 

- Il regista ci parla del suo nuovo film, il primo in cui si misura con i meccanismi del thriller, con protagonista un uomo in fuga dalle sue debolezze

Daniele Luchetti  • Regista di Confidenza

Presentato all’IFFR lo scorso febbraio, e ora in uscita nelle sale italiane il 24 aprile con Vision Distribution, Confidenza [+leggi anche:
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è il terzo film di Daniele Luchetti tratto da un libro di Domenico Starnone, dopo La scuola e Lacci [+leggi anche:
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. Abbiamo chiesto al regista qualche dettaglio in più sul suo nuovo lungometraggio, il primo in cui si misura con i meccanismi del thriller.

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Cineuropa: Pietro Vella, con tutte le sue ambiguità, è un personaggio a tratti respingente. Cosa le ha dato l’impulso di portarlo sullo schermo?
Daniele Luchetti: Se un personaggio riflette le parti peggiori di te stesso, o quelle che potrebbero essere le peggiori ipotesi su te stesso, ti aiuta a crescere. Mi sono chiesto: c’è qualcosa di me che somiglia a Vella? La risposta è stata: qualcosa sì. Allora, come posso evitare di agire come questa specie di omino che ha paura di essere mediocre? Questa stessa operazione dovrebbe farla lo spettatore. A volte si raccontano personaggi negativi per il piacere di sentirsi migliori di loro, o anche per il piacere di sentirsi come loro e di conseguenza migliorarsi.

Stavolta Domenico Starnone non ha partecipato alla scrittura del film, però le ha dato un’indicazione: “L’importante è che ci sia tensione”.
Quello della tensione è un meccanismo molto semplice, è fare in modo che lo spettatore rimanga attivo, attento, con gli occhi e le orecchie aperte. Il libro di Domenico l’ho letto più volte e sempre tutto d’un fiato. Nel suo tipo di letteratura c’è questa tensione: arrivi in fondo senza accorgertene. Volevo che il film avesse questo, e per far ciò ho messo lo spettatore in una condizione di allarme, attraverso la paura che prova il personaggio. Questa tensione fa sì che stiamo nella sua testa e vibriamo ad ogni possibile frattura che potrebbe esserci nella regolarità della sua vita.

Possiamo definirlo un thriller psicologico? È la prima volta che lei si misura con questo genere.
A me piacciono molto i film di suspense, e qui li ho declinati utilizzando le cose per cui io credo si debba aver paura. I bambini credono ai mostri, io credo alla mostruosità delle persone, alla possibilità degli altri di far del male o soprattutto, in questo caso, alla possibilità che hanno le persone di farsi del male da sole. Per me è quello il nemico in questo film, non lo vedi mai ma incombe sempre sui personaggi. Per fare questo ho utilizzando in maniera molto ovvia i meccanismi del cinema di genere; quello che non è ovvio è stato accoppiare il cinema di genere a un contenuto narrativo che è quello tradizionale del cinema di relazioni.

Limoni ammuffiti, corvi, sangue dal naso: sono alcuni degli elementi presenti nel film che procurano un senso di disagio.
Girando il film mi ero presupposto di trovare un’idea sgradevole quasi per ogni scena, che fosse lo sguardo di qualcuno, un corvo che aleggia sui personaggi o un limone ammuffito trovato in frigorifero: tutte idee che sapevo di dover trovare giorno per giorno. Volevo che non si mollasse mai la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di sbilenco, di fuori fuoco. A volte è solo il suono, a volte è una finestra aperta, a volte è qualcosa dentro la relazione di sproporzionato o violento.

A creare dissonanza ci pensano anche le musiche originali di Thom Yorke. Come avete lavorato insieme su questo film?
Avevamo già lavorato insieme su Codice Carla [+leggi anche:
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, Thom aveva rimusicato i balletti classici. Quando gli ho mandato il copione di Confidenza, lui era in tournée e non aveva potuto occuparsene. Ma quando lo ha letto, dopo quattro mesi, mi ha chiamato dicendomi: “Se non hai ancora trovato un musicista, io ci sto”. Io stavo giusto cominciando a girare. Così mi ha mandato un pezzo che aveva scritto pensando al film, una canzone meravigliosa che sta sui titoli di coda. Poi, quando ho finito di girare, gli ho mostrato alcune scene, spiegandogli il meccanismo che adottavo con gli attori, ossia dare sempre indicazioni storte rispetto alla scena: una scena gradevole la trasformavo in sgradevole, una scena di distensione diventava una scena di tensione. Quindi lui ha lavorato sul sottotesto, su quello che la scena nascondeva. Sistematicamente, abbiamo costruito una geografia sonora che va contropiede.

Al centro del film c’è un segreto che sigilla il rapporto tra Vella e la sua ex allieva, e attorno a cui aleggia il mistero. Voleva giocare con le aspettative dello spettatore?
Nel 90% dei casi, quando vedo un film che si basa su un segreto che alla fine viene rivelato, rimango un po’ deluso. Quando si crea un’aspettativa su una backstory, è veramente molto difficile essere all’altezza della fantasia dello spettatore. Nell’immaginazione c’è molto di più.

Tra i suoi lavori più recenti, ci sono due documentari-ritratti su due grandi donne dello spettacolo, Carla Fracci e Raffaella Carrà. Che cosa le hanno lasciato e chi le piacerebbe raccontare ora?
Mi piacerebbe moltissimo raccontare Mina. Si tratta di grandi icone popolari, e noi che siamo cresciuti nei cineclub e nei circoli della FGC non ci siamo goduti il piacere di queste icone. Snobbavamo i fenomeni di massa, di fatto perdendo un elemento essenziale della cultura popolare di questo Paese. Ho voluto recuperare sia Raffaella che Carla cercando di renderle contemporanee all’occhio di chi guarda. Per me è stato come aprire la finestra e far passare un po’ d’aria fresca.

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